Lettera a Tito 3:1-15

3  Continua a ricordare loro di essere sottomessi e ubbidienti ai governi e alle autorità,+ di essere pronti per ogni opera buona,  di non parlare in modo offensivo di nessuno+ e di non essere litigiosi, ma di essere ragionevoli,+ mostrando ogni mitezza verso tutti gli uomini.+  Anche noi, infatti, una volta eravamo insensati, disubbidienti, traviati, schiavi di vari desideri e piaceri, vivevamo con cattiveria e invidia, eravamo detestabili e ci odiavamo gli uni gli altri.  Comunque, quando la benignità del nostro Salvatore, Dio,+ e il suo amore per l’umanità si sono manifestati  (non a motivo di qualche opera giusta da noi compiuta,+ ma a motivo della sua misericordia),+ egli ci ha salvato lavandoci mediante il bagno che ci ha portato alla vita+ e rinnovandoci mediante lo spirito santo.+  Egli ha versato abbondantemente* questo spirito su di noi per mezzo di Gesù Cristo nostro Salvatore,+  affinché, dopo essere stati dichiarati giusti grazie alla sua immeritata bontà,+ diventassimo eredi+ in base alla speranza della vita eterna.+  Tali parole sono degne di fiducia, e voglio che tu insista su queste cose, affinché quelli che hanno creduto in Dio tengano la mente concentrata sul compiere opere eccellenti. Queste cose sono eccellenti e utili per gli uomini.  Evita invece le discussioni insensate,+ le genealogie, le dispute e le lotte intorno alla Legge, perché sono inutili e vuote.+ 10  Quanto all’uomo che si fa promotore di una setta,+ rigettalo+ dopo un primo e un secondo ammonimento,+ 11  sapendo che tale uomo si è allontanato dalla via e pecca, e quindi si condanna da sé. 12  Quando ti avrò mandato Àrtema o Tìchico,+ fa’ tutto il possibile per venire da me a Nicòpoli, perché ho deciso di passare l’inverno lì. 13  Provvedi il necessario a Zena, esperto della Legge, e ad Apòllo,+ così che non manchi loro nulla per il viaggio.+ 14  E anche i nostri imparino a dedicarsi alle opere eccellenti per poter essere d’aiuto nei casi di urgente necessità,+ affinché non siano improduttivi.*+ 15  Tutti quelli che sono con me ti mandano i loro saluti. Da’ i miei saluti a quelli che ci amano nella fede. L’immeritata bontà sia con tutti voi.

Note in calce

O “generosamente”.
Lett. “infruttuosi”.

Approfondimenti

pieno di zelo per le opere eccellenti Paolo spiega che i cristiani sarebbero stati desiderosi ed entusiasti, zelanti appunto, di fare quello che è giusto e appropriato agli occhi di Dio. Le “opere eccellenti” qui menzionate includono fare del bene agli altri, manifestare il frutto dello spirito santo e soprattutto predicare la buona notizia del Regno di Dio (Mt 24:14; Gal 5:22, 23; Tit 2:1-14; Gc 1:27; 1Pt 2:12).

essere [...] ubbidienti ai governi e alle autorità Qui Paolo si riferisce ai governanti terreni. A quel tempo alcuni che ricoprivano posizioni di autorità erano conosciuti per la loro ingiustizia, e i sudditi si ribellavano. Nonostante questo, Paolo desiderava che Tito ricordasse ai cristiani di Creta di rispettare coloro che avevano autorità e di ubbidire loro, a meno che richiedessero di disubbidire a Dio (Mt 22:21; At 5:29; Ro 13:1-7).

essere pronti per ogni opera buona L’espressione “opera buona” ha un significato ampio e può includere varie azioni compiute a favore di altri. (Vedi approfondimento a Tit 2:14.) Tra le opere buone a cui forse Paolo fa riferimento in questo versetto rientrano quei servizi che le autorità potrebbero richiedere da tutti i cittadini. I cristiani possono tranquillamente svolgere questo tipo di servizi, fintantoché non entrano in conflitto con le norme di Dio (Mt 5:41 e approfondimento; Ro 13:1, 7). Inoltre, se una zona è colpita da un disastro naturale o da un’altra emergenza, devono essere pronti ad aiutare sia i loro fratelli sia chi nel vicinato non condivide la loro fede (Gal 6:10). In questo modo dimostrano che i veri cristiani danno sempre un contributo fattivo alla società (Mt 5:16; Tit 2:7, 8; 1Pt 2:12).

ti costringe a prestare servizio Si tratta di un riferimento al servizio obbligatorio che le autorità romane potevano esigere dai cittadini. Potevano ad esempio costringere al lavoro uomini o animali oppure requisire qualsiasi cosa considerassero necessaria per accelerare gli affari pubblici. Simone di Cirene si trovò in una situazione del genere: i soldati romani “lo costrinsero a prestare servizio” facendogli portare il palo di tortura di Gesù (Mt 27:32).

ragionevolezza Il termine greco reso “ragionevolezza” ha un ampio significato; descrive chi è arrendevole, amabile o tollerante. È la qualità di chi non insiste perché la legge venga applicata alla lettera o di chi non rivendica i propri diritti. Una persona ragionevole è disposta ad adeguarsi alle circostanze, è gentile e tiene conto degli altri. La ragionevolezza di un cristiano dovrebbe essere visibile a tutti, ovvero anche a chi non fa parte della congregazione. Una traduzione biblica rende infatti così questa prima parte del versetto: “Abbiate la reputazione di essere ragionevoli”. Anche se tutti i cristiani si sforzano di manifestarla, la ragionevolezza è soprattutto un requisito per i sorveglianti nella congregazione (1Tm 3:3; Tit 3:2; Gc 3:17; vedi approfondimento a 2Co 10:1).

ragionevole Il significato del termine greco usato qui da Paolo è ampio e può anche trasmettere l’idea di una persona gentile, cortese o tollerante. (Vedi approfondimento a Flp 4:5.) Letteralmente significa “arrendevole”. Usando questa parola, però, Paolo non sta dicendo che un sorvegliante dovrebbe essere arrendevole o tollerante davanti a qualcosa di sbagliato né che dovrebbe scendere a compromessi riguardo alle norme divine. Piuttosto intende dire che, in questioni di gusto personale, un sorvegliante dovrebbe essere disposto a cedere e ad accettare il punto di vista degli altri. Non è rigido e non insiste sui suoi diritti o sul fare le cose come le ha sempre fatte. Al contrario, quando si tratta di opinioni personali, rispetta le preferenze altrui ed è pronto ad adattarsi alle circostanze che cambiano. Sostiene con fermezza le leggi e i princìpi biblici, ma cerca di mostrare gentilezza ed equilibrio nel metterli in pratica. La ragionevolezza è una sfaccettatura della sapienza divina e una caratteristica peculiare della personalità di Gesù Cristo (Gc 3:17; vedi approfondimento a 2Co 10:1). Inoltre è una qualità che dovrebbe contraddistinguere tutti i cristiani (Tit 3:1, 2).

mitezza Il termine descrive quella pacatezza e calma interiore che il cristiano manifesta nel suo rapporto con Dio e nel suo comportamento nei confronti degli altri (Gal 6:1; Ef 4:1-3; Col 3:12). Dato che è un aspetto del frutto dello spirito di Dio, la mitezza non si acquisisce con la sola forza di volontà. Il cristiano la coltiva avvicinandosi a Dio, chiedendogli il suo spirito in preghiera e lasciando che lo spirito agisca in lui. Essere miti non significa essere codardi o deboli. Il termine greco per “mitezza” (praỳtes) ha il significato di gentilezza e forza combinate insieme, forza sotto controllo. Nelle Scritture compare anche l’aggettivo corrispondente (praỳs), reso “mite” (Mt 21:5; 1Pt 3:4). Gesù si definì mite (Mt 11:29), ma non si può certo dire che fosse un debole. (Vedi Mt 5:5 e approfondimento.)

non [...] litigiosi Paolo desiderava che i cristiani non fossero aggressivi nei rapporti con gli altri, nemmeno con chi aveva autorità (Tit 3:1). Alla lettera, la parola greca qui presente può essere tradotta “non bellicosi”. Alcuni lessici la rendono con “pacifici”. Questa parola greca compare anche in 1Tm 3:3 nell’elenco dei requisiti per gli anziani.

ragionevoli Vedi approfondimenti a Flp 4:5; 1Tm 3:3.

mostrando ogni mitezza verso tutti gli uomini La persona mite rimane calma pure quando è sotto pressione e dimostra con le proprie azioni di essere pacifica con tutti, anche con chi non è cristiano. In questo versetto, i termini “ogni” e “tutti” traducono la stessa parola greca. Un’opera di consultazione fa notare che la sua ripetizione suggerisce che la qualità della mitezza dovrebbe “essere manifestata pienamente, senza parzialità”, e “verso tutti, senza eccezioni”. (Vedi approfondimento a Gal 5:23.)

Anche noi [...] una volta eravamo insensati In questo contesto il termine greco reso “insensati”, più che dare l’idea di mancanza di intelligenza, trasmette il concetto di stoltezza o mancanza di giudizio. Dicendo “noi”, Paolo indica che lui stesso in passato aveva agito in modo insensato, perseguitando stupidamente i discepoli di Cristo (1Tm 1:13). Gli era però stata mostrata misericordia, ed era cambiato (At 9:17). Aveva quindi buone ragioni per chiedere a Tito di ricordare ai cristiani di Creta che anche loro in precedenza avevano ignorato le giuste norme di Geova. Se quei cristiani con umiltà avessero riconosciuto che un tempo avevano manifestato tante caratteristiche negative, molto probabilmente avrebbero cercato di essere miti e ragionevoli con chi non era ancora credente.

nostro Salvatore, Dio Vedi approfondimento a 1Tm 1:1.

il suo amore per l’umanità Qui Paolo descrive i sentimenti che Dio, il “nostro Salvatore”, ha verso le persone, incluse quelle che ancora non lo servono (Gv 3:16). Il termine greco qui reso “amore per l’umanità” è filanthropìa. A proposito del suo uso in questo contesto, un lessico lo definisce come “l’interesse e l’affetto premuroso [di Dio] per il genere umano”. (Confronta approfondimento ad At 28:2; vedi anche Tit 2:11.) A volte questo termine greco veniva usato in testi extrabiblici per riferirsi a un giudice che mostrava misericordia verso qualcuno che era stato condannato.

bontà O “benignità umana”. La parola greca filanthropìa significa alla lettera “affetto (amore) per il genere umano”. Tale bontà potrebbe includere l’idea di nutrire interesse sincero per gli altri e di mostrare ospitalità prendendosi cura delle necessità e del benessere altrui. Come mostrato qui, anche qualcuno che non ha ancora conosciuto Geova può manifestare questa qualità divina. In At 27:3 compare una parola affine (filanthròpos), che viene usata per descrivere il modo benevolo in cui il centurione Giulio trattò Paolo. In Tit 3:4 il greco filanthropìa è usato per descrivere i sentimenti che Geova prova, ed è tradotto con “amore per l’umanità”.

Dio, nostro Salvatore Nella prima lettera a Timoteo e in quella a Tito, Paolo usa il termine “Salvatore” sei volte riferendosi a Geova Dio (qui e in 1Tm 2:3; 4:10; Tit 1:3; 2:10; 3:4); nel resto delle Scritture Greche Cristiane, invece, compare solo due volte riferito a Geova (Lu 1:47; Gda 25). Nelle Scritture Ebraiche, si parla spesso di Geova come del Salvatore del suo popolo, Israele (Sl 106:8, 10, 21; Isa 43:3, 11; 45:15, 21; Ger 14:8). Anche Gesù, però, può a buon diritto essere definito “Salvatore”, perché è tramite lui che Geova salva gli esseri umani dal peccato e dalla morte (At 5:31; 2Tm 1:10). Inoltre è definito “colui che [...] conduce alla salvezza” (Eb 2:10). Il nome Gesù, dato sotto guida angelica al Figlio di Dio, significa “Geova è salvezza”; infatti l’angelo spiegò: “Salverà il suo popolo dai loro peccati” (Mt 1:21 e approfondimento). Questo nome, quindi, sottolinea il fatto che Geova è la Fonte della salvezza mediante Gesù. Ecco perché il termine “Salvatore” può essere giustamente utilizzato per riferirsi sia al Padre che al Figlio (Tit 2:11-13; 3:4-6). Il termine ebraico e quello greco (nella Settanta) per “salvatore” vengono usati per indicare anche esseri umani scelti come “salvatori che [...] liberavano” il popolo di Dio dai nemici (Ne 9:27; Gdc 3:9, 15).

il bagno che ci ha portato alla vita O “bagno di rinascita”. Lett. “bagno di rigenerazione”. Per Paolo e i suoi compagni di fede “il bagno” che determinò la loro rinascita non fu il battesimo in acqua. Questo bagno si riferisce piuttosto alla purificazione a proposito della quale l’apostolo Giovanni scrisse: “Il sangue di suo Figlio Gesù ci purifica da ogni peccato” (1Gv 1:7). Una volta che Dio li ebbe purificati tramite il sacrificio di riscatto, Paolo e i suoi compagni di fede ebbero la possibilità di essere ‘portati alla vita’ in senso speciale, di essere “dichiarati giusti grazie alla fede” (Ro 5:1).

rinnovandoci mediante lo spirito santo Oltre ad aver provveduto il bagno della purificazione appena menzionato, Dio aveva unto Paolo e i suoi compagni di fede con il suo spirito e li aveva adottati quali figli. Loro così erano diventati “una nuova creazione”. (Vedi approfondimento a 2Co 5:17.) In qualità di figli di Dio unti con lo spirito, iniziarono ad avere una vita completamente nuova, benedetta dalla prospettiva di vivere per sempre in cielo. (Confronta approfondimento a Gv 3:5.)

nasca d’acqua e di spirito Probabilmente Nicodemo era a conoscenza dei battesimi compiuti da Giovanni Battista (Mr 1:4-8; Lu 3:16; Gv 1:31-34). È pertanto ragionevole supporre che, quando Gesù parlò dell’acqua, Nicodemo abbia capito che si stava riferendo all’acqua usata per il battesimo. Nicodemo avrà conosciuto bene anche l’uso fatto nelle Scritture Ebraiche dell’espressione “spirito di Dio”, con cui si intende la potenza di Dio in azione (Gen 41:38; Eso 31:3; Nu 11:17; Gdc 3:10; 1Sa 10:6; Isa 63:11). Perciò, quando Gesù usò la parola “spirito”, Nicodemo l’avrà intesa come spirito santo. Quello che era successo a Gesù illustra ciò che disse a Nicodemo. Quando Gesù si era battezzato in acqua, lo spirito santo era sceso su di lui. Così era nato “d’acqua e di spirito” (Mt 3:16, 17; Lu 3:21, 22). In quell’occasione Dio aveva annunciato che Gesù era suo Figlio, indicando evidentemente che lo aveva generato quale figlio spirituale, cosa che gli dava la prospettiva di tornare in cielo. Un discepolo di Gesù che è nato “d’acqua” è una persona che si è convertita abbandonando il suo precedente modo di vivere, si è pentita dei suoi peccati e si è battezzata in acqua. Chi è nato sia “d’acqua” sia “di spirito” è stato generato da Dio quale figlio suo con la promessa di ricevere la vita spirituale in cielo e con la prospettiva di regnare nel Regno di Dio (Lu 22:30; Ro 8:14-17, 23; Tit 3:5; Eb 6:4, 5).

è una nuova creazione Ogni cristiano unto è una nuova creazione nel senso che diventa un figlio di Dio generato dallo spirito con la prospettiva di regnare con Cristo nel Regno celeste (Gal 4:6, 7). È vero che dalla fine del sesto giorno creativo non sono state create nuove cose fisiche (Gen 2:2, 3), ma qui ci si riferisce alla creazione di nuove cose spirituali.

del grande Dio e del nostro Salvatore Gesù Cristo Qui Paolo parla della “gloriosa manifestazione” sia di Dio che di Gesù Cristo. Di solito, però, il termine “manifestazione” viene usato solo in riferimento a Gesù (2Ts 2:8; 1Tm 6:14; 2Tm 1:10; 4:1, 8). Quindi alcuni studiosi sostengono che questo versetto si riferisce a una persona sola e rendono l’espressione così: “del nostro grande Dio e Salvatore, Gesù Cristo”. Vedono pertanto in questo versetto la prova che le Scritture ispirate parlano di Gesù come del “grande Dio”. Comunque molti studiosi e traduttori della Bibbia riconoscono che questa espressione può appropriatamente essere resa come fa la Traduzione del Nuovo Mondo, che la riferisce a due persone distinte. (Per alcune argomentazioni a sostegno di questa resa, vedi Bibbia con riferimenti, App. 6E, “Del grande Dio e del Salvatore nostro Cristo Gesù”.)

Egli ha versato [...] questo spirito su di noi per mezzo di Gesù Cristo Il verbo greco qui presente di solito si riferisce al versamento di un liquido. Nelle Scritture Greche Cristiane, però, a volte viene usato in senso figurato per indicare il versamento dello spirito di Dio sui discepoli di Cristo. (Vedi Glossario, “ungere, unzione”.) Lo stesso verbo viene utilizzato per descrivere il versamento dello spirito santo alla Pentecoste del 33. (Vedi approfondimenti ad At 2:17.) Come indica At 2:16-18, in quella occasione si adempì la profezia di Gioele (Gle 2:28). At 2:33 spiega che Gesù, “ricevuto dal Padre lo spirito santo promesso”, lo versò sui discepoli alla Pentecoste. Qui in Tit 3:6, Paolo indica che Gesù continuava a essere il canale attraverso il quale Geova versa il suo spirito santo.

Gesù Cristo nostro Salvatore Vedi approfondimenti a Tit 1:4; 2:13.

Cristo Gesù nostro Salvatore Nel versetto precedente è Dio a essere chiamato “nostro Salvatore”. Pertanto alcuni giungono alla conclusione che Gesù e Dio sono la stessa persona. È degno di nota però che questo versetto menzioni separatamente “Dio Padre” e “Cristo Gesù nostro Salvatore”. Gesù può a buon diritto essere definito “nostro Salvatore” perché è tramite lui che Dio salva gli esseri umani dal peccato e dalla morte. In Eb 2:10 Paolo lo definisce “colui che [...] conduce alla salvezza”. E lo scrittore biblico Giuda chiama Geova il “solo Dio nostro Salvatore per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore”, il che dimostra che Dio e Cristo cooperano strettamente alla nostra salvezza (Gda 25). Da tutto ciò si evince che le parole di Paolo non sostengono affatto l’idea che “Cristo Gesù” e “Dio Padre” siano la stessa persona. (Vedi approfondimento a 1Tm 1:1.)

mio spirito Il termine greco pnèuma qui si riferisce allo spirito santo di Dio, ovvero la sua forza attiva o potenza in azione. In Gle 2:28, qui citato, viene usata la corrispondente parola ebraica rùach. Sia il termine ebraico che quello greco trasmettono fondamentalmente l’idea di qualcosa che è invisibile agli occhi umani e che rivela forza in movimento. (Vedi Glossario, “spirito”.)

Negli ultimi giorni Citando la profezia di Gioele, sotto ispirazione Pietro usa l’espressione “negli ultimi giorni” anziché quella resa “dopo questo”, che si trova nell’originale ebraico e nella Settanta (Gle 2:28 [3:1, LXX]). La profezia di Gioele si era adempiuta con il versamento dello spirito santo alla Pentecoste. Perciò l’uso da parte di Pietro delle parole “negli ultimi giorni” indica che quel particolare periodo di tempo era già iniziato e avrebbe preceduto “il grande e glorioso giorno di Geova”. A quanto pare quel “giorno di Geova” avrebbe segnato la fine degli “ultimi giorni” (At 2:20). Pietro si stava rivolgendo a ebrei naturali e proseliti, quindi un primo adempimento delle sue parole ispirate doveva riguardarli. Quello che disse sembra indicare che gli ebrei stavano vivendo “negli ultimi giorni” di quel sistema di cose in cui l’adorazione aveva il suo centro a Gerusalemme. In precedenza Gesù stesso aveva predetto la distruzione di Gerusalemme e del suo tempio, cosa che si verificò nel 70 (Lu 19:41-44; 21:5, 6).

dichiararli giusti Nelle Scritture Greche Cristiane il verbo dikaiòo e i sostantivi affini dikàioma e dikàiosis, generalmente resi “giustificare” e “giustificazione”, contengono l’idea fondamentale di assolvere o prosciogliere da un’accusa, considerare innocente e quindi dichiarare giusto qualcuno e trattarlo come tale. Per esempio l’apostolo Paolo scrisse che chi è morto “è stato assolto [verbo dikaiòo] dal suo peccato”, avendo scontato la pena, cioè la morte (Ro 6:7, 23). Nelle Scritture questi termini greci vengono usati anche con un significato particolare, per indicare che una persona imperfetta che esercita fede può essere considerata innocente agli occhi di Dio (At 13:38, 39; Ro 8:33).

essere stati dichiarati giusti Vedi approfondimento a Ro 3:24.

immeritata bontà Vedi Glossario.

Evita [...] i dibattiti sciocchi e da ignoranti Per la terza volta in questa lettera Paolo esorta Timoteo ad aiutare i cristiani di Efeso a smettere di dibattere su speculazioni e argomenti controversi (2Tm 2:14 e approfondimento, 16). Nella prima lettera che gli aveva scritto, Paolo aveva affrontato tematiche simili. (Vedi approfondimenti a 1Tm 1:4; 6:20.)

genealogie Paolo forse fa riferimento a linee di discendenza o alberi genealogici delle singole famiglie. Avverte i cristiani di non farsi distrarre dallo studio e dalla discussione di questi argomenti. Probabilmente alcuni si dedicavano a cose del genere per un senso di orgoglio riguardo alla propria discendenza o per far mostra della conoscenza che avevano. Comunque concentrarsi su questo tipo di indagini non aggiungeva nulla di utile alla fede cristiana. I cristiani ebrei non avevano nessun valido motivo per tracciare la propria linea di discendenza, dato che nella congregazione Dio non faceva ormai alcuna distinzione fra ebrei e non ebrei (Gal 3:28). Ciò che veramente contava era che i cristiani riuscissero a tracciare la discendenza di Cristo attraverso la linea genealogica di Davide (Mt 1:1-17; Lu 3:23-38).

è dichiarato giusto Nelle Scritture Greche Cristiane il verbo dikaiòo, generalmente reso “giustificare”, e i sostantivi affini dikàioma e dikàiosis, di solito resi “giustificazione”, contengono l’idea fondamentale di assolvere o prosciogliere da un’accusa, considerare innocente e quindi dichiarare giusto qualcuno e trattarlo come tale. (Vedi approfondimento a Ro 3:24.) Alcuni nelle congregazioni della Galazia si facevano influenzare dai giudaizzanti, i quali cercavano di affermare la loro condizione giusta compiendo le opere della Legge mosaica (Gal 5:4; vedi approfondimento a Gal 1:6). Qui però Paolo sottolinea che solo per mezzo della fede in Gesù Cristo è possibile essere considerati giusti da Dio. Infatti, sacrificando la sua vita perfetta, Gesù ha fornito la base perché Dio dichiari giusti quelli che esercitano fede in lui (Ro 3:19-24; 10:3, 4; Gal 3:10-12, 24).

la Legge è eccellente purché sia applicata in modo appropriato Ai giorni di Paolo, alcuni insegnavano che i cristiani dovessero attenersi scrupolosamente ai precetti della Legge mosaica, come se fossero ancora indispensabili per essere salvati. Paolo sapeva che quei maestri applicavano la Legge in modo inappropriato. I cristiani non sono tenuti a osservarla, ed esercitano fede nel sacrificio di Cristo per ottenere la salvezza (Gal 2:15, 16). La Legge mosaica è comunque utile per loro, a patto che ne applichino i princìpi “in modo appropriato” (lett. “legittimamente”). Vale la pena studiarla, dal momento che è “un’ombra delle benedizioni future” collegate a Cristo Gesù (Eb 10:1). Inoltre la Legge rende evidente il bisogno che l’umanità ha del sacrificio espiatorio di Gesù Cristo (Gal 3:19) e, soprattutto, rivela il modo di pensare di Geova (Eso 22:21; Le 19:15, 18; Ro 7:12).

le discussioni insensate Come i falsi maestri di Efeso, anche a Creta alcuni portavano avanti discussioni inutili e divisive. (Vedi approfondimento a 2Tm 2:23.) In questo versetto Paolo esorta Tito a evitare questo tipo di dispute, che fossero incentrate sulla Legge mosaica, sulle genealogie oppure su false storie. Il verbo greco qui reso evita suggerisce l’idea di girarsi di spalle o addirittura andarsene via. L’esempio di Tito al riguardo avrebbe insegnato agli altri che prendere parte a discussioni insensate sarebbe stato uno spreco di tempo e di energie.

le genealogie Vedi approfondimento a 1Tm 1:4.

le lotte intorno alla Legge I cristiani non erano sotto la Legge mosaica (Ro 6:14; Gal 3:24, 25). Alcuni che si erano uniti alle congregazioni, però, insistevano che i cristiani dovevano attenersi scrupolosamente ai tanti precetti della Legge (Tit 1:10, 11). In questo modo rifiutavano a tutti gli effetti il mezzo per la salvezza provveduto da Dio, ovvero il sacrificio di riscatto di Cristo Gesù (Ro 10:4; Gal 5:1-4; vedi approfondimenti a Gal 2:16; 1Tm 1:8).

perché sono inutili e vuote Paolo qualifica le discussioni che ha appena menzionato come “inutili” o, stando a quanto dice un lessico, “di nessun beneficio”. Le definisce anche “vuote”, ovvero “vane, infruttuose, senza verità”. Paolo non voleva che, mentre i cristiani di Creta servivano Dio, si facessero distrarre da dispute divisive che erano solo una gran perdita di tempo.

setta Il sostantivo greco reso “setta” (hàiresis, da cui l’italiano “eresia”) probabilmente significava in origine “scelta”. Il termine è utilizzato in questo senso in Le 22:18 nella Settanta, in riferimento ai doni che gli israeliti facevano volontariamente, cioè per scelta. Nelle Scritture Greche Cristiane questa parola si riferisce a un gruppo di persone che sostengono punti di vista o dottrine peculiari. È usata a proposito degli aderenti ai due rami principali del giudaismo, rappresentati da farisei e sadducei (At 5:17; 15:5; 26:5). I non cristiani definirono il cristianesimo una “setta” o la “setta dei nazareni”, forse considerandolo una deviazione dal giudaismo (At 24:5, 14; 28:22). Il termine hàiresis era anche utilizzato per descrivere gruppi che si svilupparono all’interno della congregazione cristiana. Gesù diede grande rilievo al valore dell’unità e pregò che potesse regnare fra i suoi discepoli (Gv 17:21); quanto agli apostoli, si impegnarono per preservarla nella congregazione cristiana (1Co 1:10; Gda 17-19). Se i membri della congregazione si fossero separati in gruppi o in fazioni, avrebbero mandato in frantumi quell’unità. Perciò, essendo usata per designare tali gruppi, la parola hàiresis acquisì il significato negativo di fazione, gruppo divisivo, setta. Una divergenza dottrinale poteva dare origine a violente dispute, dissensi e anche ostilità. (Confronta At 23:7-10.) Le sette, considerate “opere della carne”, andavano quindi evitate (Gal 5:19-21; 1Co 11:19; 2Pt 2:1).

tra voi ci saranno [...] delle sette Come si legge nel versetto precedente, Paolo ha sentito dire che nella congregazione di Corinto “ci sono divisioni”. Qui sottolinea che l’esistenza stessa di queste fazioni renderà chiaro chi è approvato da Dio. Infatti coloro che evitano questi gruppi divisivi e fanno umilmente quello che possono per promuovere amore e unità si distingueranno per la loro fedeltà, dimostrando così di essere cristiani genuini mossi da motivi puri. È in questo senso che sette e divisioni permetteranno di identificare chi ha l’approvazione di Dio. (Per una trattazione del termine “setta”, vedi approfondimento ad At 24:5.)

istruzione O “guida”, “ammonimenti”. La parola greca usata qui (nouthesìa) è composta dal sostantivo per “mente” (noùs) e dal verbo reso “mettere” (tìthemi). In questo contesto indica che i padri cristiani devono aiutare i propri figli a capire il modo di pensare di Geova; devono per così dire mettere in loro la mente di Geova Dio.

vi ammoniscono La parola greca usata qui (nouthetèo) è composta dal sostantivo per “mente” (noùs) e dal verbo reso “mettere” (tìthemi); potrebbe essere tradotta letteralmente “porre la mente a qualcosa”. Con lo stesso significato di “ammonire”, compare anche nel v. 14.

uomo che si fa promotore di una setta O “persona che causa divisioni”, “persona faziosa”. (Vedi Glossario, “setta”, e approfondimenti ad At 24:5; 1Co 11:19.)

rigettalo O “rifiutati di avere a che fare con lui”. Il verbo greco usato qui da Paolo può includere l’idea di escludere o allontanare qualcuno, per esempio da una casa. Se in congregazione qualcuno si fosse fatto promotore di una setta, gli anziani avrebbero dapprima cercato con amore di aiutarlo. Ma se dopo essere stato ammonito si fosse ostinato nel suo comportamento, gli anziani avrebbero dovuto rigettarlo; questo vuole evidentemente dire che avrebbero dovuto espellerlo dalla congregazione (Ro 16:17; 1Co 5:12, 13; 1Tm 1:20; 2Gv 10). Se non lo avessero fatto, quella persona avrebbe seminato discordia e divisioni (2Tm 2:16-18).

ammonimento Il termine greco che Paolo usa in questo versetto si può riferire a guida e istruzione. (Vedi approfondimento a Ef 6:4.) In questo contesto però dà l’idea di “avvertimento”, “riprensione”. (Confronta 1Ts 5:12 e approfondimento.)

si è allontanato dalla via Questa espressione si riferisce a un uomo che ha preso le distanze “da ciò che è ritenuto vero o moralmente appropriato”. Alcuni studiosi sostengono che il verbo greco originale significava “stravolgere”, “rovesciare”, il che poteva voler dire che la persona che si allontanava cercava di corrompere o pervertire le verità scritturali. Questa persona doveva essere rigettata, espulsa dalla congregazione.

si condanna da sé Questa espressione indica quanto fosse grave promuovere una setta nella congregazione. Chi “dopo un primo e un secondo ammonimento” si ostinava nel suo comportamento non era paragonabile a coloro che avevano dubbi ma erano disposti a ragionare (Tit 3:10; Gda 22, 23). Il suo stesso comportamento ostinato, deliberato e consapevole nel seminare divisioni nella congregazione lo condannava, e avrebbe determinato la sua distruzione (2Pt 2:1).

Artema Questo compagno d’opera di Paolo viene menzionato solo qui nelle Scritture Greche Cristiane. Paolo pensò di mandare lui o Tichico a Creta forse con l’obiettivo di sostituire Tito, che così avrebbe potuto raggiungerlo a Nicopoli. (Vedi Galleria multimediale, “Viaggi di Paolo successivi al 61 E.V. ca.”.) Non si sa quando e dove Paolo incontrò Artema, ma di sicuro si fidava di lui e riteneva che fosse adatto per quell’incarico.

Tichico Vedi approfondimento a Col 4:7.

Tichico Tichico era un ministro cristiano originario della provincia dell’Asia di cui Paolo apprezzò molto l’aiuto (At 20:2-4). Paolo gli affidò il compito di portare la lettera ai Colossesi, la lettera a Filemone (un fratello della congregazione di Colosse) e quella agli Efesini. Ma Tichico fu più che un corriere: il suo incarico comportava riferire alle congregazioni tutto ciò che riguardava Paolo, probabilmente anche i dettagli relativi alla sua detenzione, la sua salute e le sue necessità. Paolo sapeva che questo “amato fratello” e “fedele ministro” l’avrebbe fatto in modo tale da confortare il cuore dei fratelli e da aggiungere forza agli importanti insegnamenti contenuti nel suo messaggio ispirato (Col 4:8, 9; vedi anche Ef 6:21, 22). Una volta liberato, Paolo valutò la possibilità di mandare Tichico a Creta (Tit 3:12). E durante la sua seconda detenzione a Roma, lo mandò a Efeso (2Tm 4:12).

Provvedi il necessario [...] per il viaggio Il verbo greco qui reso “provvedi il necessario [...] per il viaggio” ha un significato ampio. Potrebbe anche comprendere l’idea di accompagnare chi sta viaggiando per parte del percorso o fino a destinazione. (Confronta At 20:38; 21:5; Ro 15:24; 1Co 16:6.) Stando a un’opera di consultazione, l’aiuto che Paolo chiese a Tito di dare a Zena e ad Apollo poteva includere “cibo, denaro, compagni di viaggio, mezzi di trasporto e persone da cui fermarsi lungo il tragitto”. Un’altra opera di consultazione dice: “All’epoca aiutare i cristiani in viaggio era molto comune e indispensabile perché viaggiare era molto difficile; inoltre quei cristiani si sarebbero sentiti più tranquilli con altri compagni di fede”. (Confronta approfondimenti a Flp 2:30; 2Tm 4:21.)

Zena, esperto della Legge Lett. “Zena il giurista”. Il termine greco usato in questo versetto (nomikòs) può indicare quello che oggi sarebbe un avvocato civilista, ma a quanto pare Paolo intende dire che Zena conosceva bene la Legge mosaica. Se le cose stavano così, Zena probabilmente era ebreo, forse addirittura uno scriba. Comunque Zena è un nome greco, quindi poteva essere un non ebreo che si era convertito al giudaismo prima di diventare cristiano. Oppure poteva essere un ebreo che aveva un nome greco, dato che ai giorni di Paolo molti ebrei avevano nomi greci o romani (At 1:23; 9:36 e approfondimento; 12:25). In ogni caso le istruzioni di Paolo a Tito fanno capire che Zena godeva di una buona reputazione come cristiano.

Apollo Nelle Scritture Greche Cristiane questa è l’ultima volta in cui si parla del fedele Apollo. Quest’“uomo eloquente” compare per la prima volta nel libro degli Atti mentre predicava a Efeso; ebbe però bisogno di acquisire ulteriore conoscenza. In seguito andò in Acaia, e lì “fu di grande aiuto” ai discepoli (At 18:24-28; vedi approfondimento ad At 18:24). Il rispetto che gli altri avevano di lui crebbe così tanto che alcuni cristiani di Corinto spiritualmente immaturi erano divisi tra chi diceva di appartenere ad Apollo e chi a Paolo (1Co 1:12; 3:5, 6). Comunque queste idee errate non influirono negativamente su Apollo, né sull’opinione che Paolo aveva di questo zelante missionario. (Vedi approfondimento a 1Co 16:12.) In questo versetto Paolo dice a Tito di provvedere ad Apollo il necessario per il viaggio, viaggio che probabilmente consisteva nel visitare le congregazioni in qualità di sorvegliante viaggiante.

Quanto a nostro fratello Apollo Probabilmente Apollo si trovava a Efeso (da dove Paolo stava scrivendo 1 Corinti) o nelle vicinanze. In precedenza aveva predicato a Corinto (At 18:24–19:1a), e i corinti lo stimavano molto. Ora Paolo riferisce di averlo pregato di visitare la congregazione di Corinto, ma aggiunge che Apollo in quel momento non aveva intenzione di andarci. Può darsi che temesse di suscitare ulteriori divisioni nella congregazione (1Co 1:10-12) o che fosse ancora impegnato nel luogo in cui si trovava. Ad ogni modo questo accenno di Paolo al “fratello Apollo” indica che questi due attivi missionari non avevano permesso che le divisioni all’interno della congregazione di Corinto minassero la loro unità, come sostengono alcuni biblisti (1Co 3:4-9, 21-23; 4:6, 7).

Apollo Cristiano ebreo che a quanto pare era cresciuto ad Alessandria, capitale della provincia romana dell’Egitto. Alessandria era un famoso centro culturale, rinomato per la sua vasta biblioteca. Dopo Roma, era la città più grande dell’impero romano e ospitava una consistente comunità ebraica. Era tra i poli culturali e intellettuali più importanti sia per gli ebrei sia per i greci. Ad Alessandria fu realizzata la traduzione in greco delle Scritture Ebraiche nota come Settanta. Tutto questo potrebbe spiegare perché di Apollo si dice che era ferrato [lett. “potente”] nelle Scritture, cioè le Scritture Ebraiche ispirate.

Tabita Il nome aramaico Tabita equivale a Gazzella e a quanto pare corrisponde a un termine ebraico (tseviyàh) che si riferisce alla femmina della gazzella (Ca 4:5; 7:3). Anche il nome greco Dorcas si può tradurre “Gazzella”. È possibile che in una città portuale come Ioppe, abitata sia da ebrei che da non ebrei, Tabita fosse chiamata con entrambi i nomi (Tabita e Dorcas), a seconda della lingua che si stava parlando. Un’altra possibilità è che Luca abbia tradotto il nome di questa donna a beneficio dei lettori non ebrei.

Fa’ tutto il possibile per arrivare prima dell’inverno Paolo desidera che Timoteo parta per Roma prima dell’inverno, forse perché i rigidi mesi invernali potevano rendere il viaggio troppo rischioso. Nell’antichità non era possibile navigare nel Mediterraneo nell’ultima parte dell’autunno, per tutto l’inverno e all’inizio della primavera. Durante tutto quel periodo le tempeste erano più frequenti e pericolose (At 27:9-44; vedi anche Galleria multimediale, “Atti degli Apostoli | Viaggio di Paolo verso Roma e prima detenzione nella città”). Inoltre la maggiore nuvolosità, insieme a pioggia, neve e nebbia, riduceva la visibilità e rendeva la navigazione difficile. Dato che non esisteva la bussola, i marinai dovevano fare completo affidamento su punti di riferimento o sulla posizione del sole, della luna e delle stelle. Inoltre se Timoteo fosse arrivato prima dell’inverno e avesse portato il mantello che Paolo aveva lasciato a Troas, quest’ultimo avrebbe avuto qualcosa con cui scaldarsi durante i freddi mesi invernali in prigione (2Tm 4:13; vedi anche Galleria multimediale, “Portami il mantello”).

rischiando la vita O “esponendo la sua anima al pericolo”. A quanto pare assolvere il compito di andare a Roma e portare un dono a Paolo, che era detenuto, comportò dei rischi per Epafrodito. Ad esempio, potrebbero essere state le condizioni malsane in cui si trovò durante il viaggio o nei pernottamenti, per come erano nel I secolo, la ragione per cui “si era ammalato così gravemente che aveva rischiato di morire” (Flp 2:26, 27). Ad ogni modo Paolo dice che, se Epafrodito era stato “in punto di morte”, era stato “per l’opera di Cristo”. Paolo aveva quindi ottime ragioni per lodare Epafrodito e rivolgere alla congregazione di Filippi queste parole: “Accoglietelo dunque com’è consuetudine nel Signore con grande gioia e tenete in alta stima gli uomini come lui” (Flp 2:29; vedi approfondimenti a Flp 2:25, 26 e Glossario, “anima”).

immeritata bontà Vedi Glossario.

tutti voi L’espressione fa capire che Paolo desiderava che la lettera venisse letta alla congregazione, anche se in realtà l’aveva scritta in primis a Tito. Questo avrebbe incoraggiato tutti a collaborare con Tito quando lui avrebbe impartito correzione (Tit 1:5, 10), nominato anziani (Tit 1:6-9), ripreso (Tit 1:13; 2:15), ricordato più volte qualcosa (Tit 3:1, 8) e aiutato materialmente chi era nel bisogno (Tit 3:13, 14).

Galleria multimediale

La città di Nicopoli
La città di Nicopoli

Nella cartina è indicata la città romana di Nicopoli, che si trovava nella regione dell’Epiro in quella che oggi è la Grecia nord-occidentale. Anche se nell’antichità diverse città erano chiamate Nicopoli (che vuol dire “città della vittoria”), sembra che sia questa la Nicopoli di cui parla la Bibbia in relazione ai viaggi che Paolo fece qualche tempo dopo la sua prima detenzione a Roma (Tit 3:12; vedi cartina “Viaggi di Paolo successivi al 61 E.V. ca.”). Ottaviano (successivamente chiamato Cesare Augusto) la fondò dopo il 31 a.E.V. Molte persone provenienti da altre zone vi si stabilirono, e questa nuova città diventò un importante centro di scambi commerciali. Paolo potrebbe aver pensato che Nicopoli potesse offrire ampie opportunità per dare testimonianza durante l’inverno che aveva programmato di passare lì. Alcuni ritengono che fu mentre viveva a Nicopoli che Paolo sia stato arrestato e rimandato a Roma per la sua seconda e ultima detenzione. (Vedi approfondimento ad At 28:30.) Le foto mostrano alcuni siti archeologici dell’antica Nicopoli:

1. l’acquedotto romano, la cui costruzione può essere iniziata durante il regno di Nerone (54-68)

2. l’odeon (in primo piano), piccolo teatro costruito probabilmente durante la prima metà del II secolo; lo scorcio di uno dei porti (sullo sfondo)