Prima lettera a Timoteo 1:1-20

1  Paolo, apostolo di Cristo Gesù per comando di Dio, nostro Salvatore, e di Cristo Gesù, nostra speranza,+  a Timòteo,+ genuino figlio+ nella fede. Che tu possa avere immeritata bontà, misericordia e pace da Dio Padre e Cristo Gesù nostro Signore!  Quando stavo per partire per la Macedonia, ti ho incoraggiato a rimanere a Efeso. Faccio lo stesso ora, affinché tu comandi a certi individui di non insegnare dottrine diverse  e di non prestare attenzione a false storie+ e a genealogie. Tali cose infatti non portano a nulla di utile;+ danno solo adito a speculazioni, invece di provvedere qualcosa che venga da Dio riguardo alla fede.  L’obiettivo di questa direttiva è l’amore+ che scaturisce da un cuore puro,+ da una buona coscienza+ e da una fede+ senza ipocrisia.+  Allontanandosi da queste cose, alcuni si sono sviati facendo discorsi privi di senso.+  Pretendono di essere maestri+ della legge, ma non capiscono né le cose che dicono né le cose su cui insistono con tanta convinzione.  Ora, noi sappiamo che la Legge è eccellente purché sia applicata in modo appropriato,  riconoscendo che le leggi sono fatte non per chi è giusto, ma per quelli che compiono azioni illecite+ e i ribelli, per gli empi* e i peccatori, per gli sleali* e i blasfemi, per i patricidi e i matricidi, per gli assassini, 10  per quelli che praticano* l’immoralità sessuale, per gli uomini che praticano l’omosessualità, i rapitori, i bugiardi, gli spergiuri e quelli che compiono qualunque altra cosa contraria al sano* insegnamento+ 11  basato sulla gloriosa buona notizia del felice Dio, che mi è stata affidata.+ 12  Sono grato a Cristo Gesù nostro Signore, che mi ha infuso potenza, perché mi ha considerato fedele incaricandomi di svolgere un ministero,+ 13  sebbene prima fossi un bestemmiatore, un persecutore e un insolente.+ Nonostante questo, mi è stata mostrata misericordia perché agivo per ignoranza e mancanza di fede. 14  Ma l’immeritata bontà del nostro Signore ha abbondato oltremodo insieme alla fede e all’amore che è in Cristo Gesù. 15  Questa affermazione è degna di fiducia e merita di essere pienamente accettata: Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori.+ Di questi io sono il principale.+ 16  Tuttavia mi è stata mostrata misericordia, affinché per mezzo mio, che sono il principale peccatore, Cristo Gesù dimostrasse tutta la sua pazienza, facendo di me un esempio per coloro che riporranno fede in lui per avere la vita eterna.+ 17  Al Re d’eternità,+ incorruttibile,+ invisibile+ e unico Dio,+ vadano l’onore e la gloria per i secoli dei secoli. Amen. 18  Ti affido questa direttiva, figlio mio Timòteo, in armonia con le profezie che furono fatte riguardo a te, affinché sulla base di quelle tu possa continuare a combattere l’eccellente guerra,+ 19  conservando la fede e una buona coscienza,+ alla quale alcuni hanno rinunciato, facendo così naufragare la loro fede. 20  Tra questi ci sono Imenèo+ e Alessandro, che io ho consegnato a Satana,+ perché dalla disciplina imparino a non bestemmiare.

Note in calce

Cioè irriverenti verso Dio.
O “privi di amore leale”.
O “commettono”.
O “benefico”.

Approfondimenti

Prima lettera a Timoteo A quanto pare intestazioni come questa non facevano parte del testo originale. Antichi manoscritti dimostrano che furono introdotte successivamente, senza dubbio per identificare con più facilità i vari libri. Ad esempio, il codice Sinaitico, famoso manoscritto del IV secolo, al termine della lettera contiene la dicitura “Prima a Timoteo”. Anche in altri antichi manoscritti compare questa dicitura, ma con delle varianti.

Dio, nostro Salvatore Nella prima lettera a Timoteo e in quella a Tito, Paolo usa il termine “Salvatore” sei volte riferendosi a Geova Dio (qui e in 1Tm 2:3; 4:10; Tit 1:3; 2:10; 3:4); nel resto delle Scritture Greche Cristiane, invece, compare solo due volte riferito a Geova (Lu 1:47; Gda 25). Nelle Scritture Ebraiche, si parla spesso di Geova come del Salvatore del suo popolo, Israele (Sl 106:8, 10, 21; Isa 43:3, 11; 45:15, 21; Ger 14:8). Anche Gesù, però, può a buon diritto essere definito “Salvatore”, perché è tramite lui che Geova salva gli esseri umani dal peccato e dalla morte (At 5:31; 2Tm 1:10). Inoltre è definito “colui che [...] conduce alla salvezza” (Eb 2:10). Il nome Gesù, dato sotto guida angelica al Figlio di Dio, significa “Geova è salvezza”; infatti l’angelo spiegò: “Salverà il suo popolo dai loro peccati” (Mt 1:21 e approfondimento). Questo nome, quindi, sottolinea il fatto che Geova è la Fonte della salvezza mediante Gesù. Ecco perché il termine “Salvatore” può essere giustamente utilizzato per riferirsi sia al Padre che al Figlio (Tit 2:11-13; 3:4-6). Il termine ebraico e quello greco (nella Settanta) per “salvatore” vengono usati per indicare anche esseri umani scelti come “salvatori che [...] liberavano” il popolo di Dio dai nemici (Ne 9:27; Gdc 3:9, 15).

Cristo Gesù, nostra speranza Paolo considerava Geova “l’Iddio che dà speranza” (Ro 15:13), ma qui ricorda a Timoteo che è per mezzo di Cristo Gesù che Geova ha offerto ai cristiani questa speranza fidata. Gesù realizza tutte le promesse di Geova e fa in modo che la speranza degli esseri umani di vivere per sempre si avveri. (Vedi 2Co 1:20 e approfondimenti; 1Pt 1:3, 4.)

mediante lui diciamo l’“amen” a Dio La parola resa “amen” è la traslitterazione di un termine ebraico che significa “così sia” o “di sicuro”. In Ri 3:14 Gesù si definisce “l’Amen”. Questo perché quando era sulla terra adempì tutto ciò che era stato profetizzato su di lui. Inoltre, dal momento che è stato sempre fedele e ha sacrificato la sua vita, è diventato la garanzia, o l’“amen” appunto, che tutto ciò che Dio ha dichiarato si realizzerà. Questa certezza dà maggior valore all’“amen” detto alla fine delle preghiere rivolte a Dio attraverso Cristo. (Vedi approfondimento a 1Co 14:16.)

Gesù Corrisponde al nome ebraico Iesua (Yeshùaʽ) o Giosuè (Yehoshùaʽ, forma estesa dello stesso nome), il cui significato è “Geova è salvezza”.

sono state “sì” mediante lui Le promesse di Dio hanno trovato conferma in Gesù, in quanto è in lui che si sono adempiute e realizzate. È mediante lui, cioè mediante tutto ciò che insegnò e fece, che tutte le promesse contenute nelle Scritture Ebraiche si sono adempiute. La perfetta integrità che Gesù dimostrò quando era sulla terra fugò qualsiasi dubbio in merito alle promesse di Geova.

Timoteo Questa è la prima menzione biblica di Timoteo, il cui nome greco significa “uno che onora Dio”. Non si sa con precisione quando abbia abbracciato il cristianesimo. Si sa comunque che sua madre Eunice, ebrea credente, e probabilmente anche sua nonna Loide gli insegnarono sin da quando era molto piccolo “gli scritti sacri” degli ebrei, le Scritture Ebraiche (2Tm 1:5; 3:15). È molto probabile che Eunice e Loide siano diventate cristiane quando Paolo visitò Listra durante il suo primo viaggio missionario. Il padre di Timoteo è definito greco, il che significa o che i suoi antenati erano originari della Grecia o che lui apparteneva a un’altra razza. A quanto pare non era cristiano. Durante il suo secondo viaggio missionario, alla fine del 49 o agli inizi del 50, Paolo tornò a Listra, evidentemente città natale di Timoteo. A quel tempo Timoteo era un discepolo cristiano e “i fratelli di Listra e di Iconio parlavano bene di lui” (At 16:2). Poteva essere negli ultimi anni dell’adolescenza o avere poco più di 20 anni, deduzione confermata da quello che 10-15 anni dopo (probabilmente tra il 61 e il 64) Paolo gli scrisse: “Nessuno disprezzi la tua giovane età” (1Tm 4:12). Questo indica che all’epoca di quella prima lettera Timoteo era ancora un uomo relativamente giovane.

Possiate avere immeritata bontà e pace Questo è il saluto che Paolo rivolge in 11 delle sue lettere (1Co 1:3; 2Co 1:2; Gal 1:3; Ef 1:2; Flp 1:2; Col 1:2; 1Ts 1:1; 2Ts 1:2; Tit 1:4; Flm 3). Usa un saluto simile nelle sue lettere a Timoteo, ma aggiungendo la qualità della “misericordia” (1Tm 1:2; 2Tm 1:2). Gli studiosi fanno notare che, invece di usare chàirein, la comune formula resa “Saluti!”, Paolo spesso usa chàris, un termine greco dal suono simile, con cui esprime il desiderio che le congregazioni possano godere di “immeritata bontà” in abbondanza. (Vedi approfondimento ad At 15:23.) Il fatto che venga usato il termine “pace” rispecchia la comune formula di saluto ebraica shalòhm. (Vedi approfondimento a Mr 5:34.) A quanto pare, usando l’espressione “immeritata bontà e pace”, Paolo sottolinea il nuovo legame che i cristiani hanno con Geova Dio grazie al riscatto. Nel descrivere da chi provengono immeritata bontà e pace, Paolo menziona Dio nostro Padre separatamente dal Signore Gesù Cristo.

Timoteo Significa “uno che onora Dio”. (Vedi approfondimento ad At 16:1.)

genuino figlio Definendo Timoteo in questo modo, Paolo esprime il tenero affetto paterno che lo lega a lui. Le Scritture non dicono se sia stato lui a far conoscere la buona notizia a Timoteo e alla sua famiglia. Quello che dicono, però, è che, quando era relativamente giovane, Timoteo iniziò ad accompagnarlo nei suoi viaggi (At 16:1-4). Perciò, quando Paolo scrisse questa lettera, lo considerava suo figlio nella fede, cioè un figlio spirituale. (Confronta Tit 1:4.) Il loro legame speciale si era consolidato nel corso del tempo, da 10 anni o più (1Co 4:17; Flp 2:20-22).

Che tu possa avere immeritata bontà, misericordia e pace Vedi approfondimento a Ro 1:7.

immeritata bontà Vedi Glossario.

rimanere a Efeso In questo versetto si trovano utili informazioni sul contesto della prima lettera a Timoteo. Quando la ricevette, Timoteo serviva come sorvegliante nella congregazione di Efeso, congregazione che Paolo conosceva bene (At 19:1, 9, 10; 20:31). Paolo incoraggia Timoteo a rimanere a Efeso aggiungendo: “Affinché tu comandi a certi individui di non insegnare dottrine diverse”. La stesura della lettera si può collocare tra il 61 e il 64, cioè dopo la fine degli arresti domiciliari di Paolo a Roma ma prima della sua ultima detenzione lì. (Vedi Introduzione a 1 Timoteo e Galleria multimediale, “Viaggi di Paolo successivi al 61 E.V. ca.”.)

affinché tu comandi a certi individui di non insegnare dottrine diverse Paolo affida a Timoteo grande autorità nella congregazione di Efeso: dovrà comandare a certi individui di smettere di insegnare dottrine diverse dagli insegnamenti ispirati di Gesù e di coloro che Gesù aveva nominato. Il verbo originale usato qui per “comandare” si può riferire a un dovere impellente. L’indicazione che Paolo impartisce dà un’idea del suo continuo combattimento contro l’apostasia. (Vedi approfondimento a 2Ts 2:3.) Alcuni anni prima, intorno al 56, Paolo aveva parlato agli anziani di Efeso avvertendoli del fatto che tra gli uomini con incarichi di responsabilità ci sarebbero stati “lupi rapaci” che “[avrebbero detto] cose distorte per trascinarsi dietro i discepoli” (At 20:29, 30). In altre lettere ispirate, Paolo esortò i cristiani a non ascoltare “un’altra sorta di buona notizia” (Gal 1:6 e approfondimento; 2Co 11:4). È evidente che alcuni di quelli che promuovevano questi falsi insegnamenti erano ormai presenti anche nella congregazione di Efeso.

se prima non viene l’apostasia Alcuni cristiani di Tessalonica si stavano facendo sviare in relazione alla “presenza del nostro Signore Gesù Cristo” e al “giorno di Geova” (2Ts 2:1, 2). Paolo però ricordò loro che prima di queste due cose se ne dovevano verificare altre due: (1) doveva venire l’apostasia (vedi l’approfondimento apostasia in questo versetto) e (2) doveva essere rivelato “l’uomo dell’illegalità”. Quello che Paolo disse a proposito dell’ampia diffusione dell’apostasia all’interno della congregazione cristiana concorda con la parabola di Gesù sul grano e la zizzania (Mt 13:24-30, 36-43). Anche in altre circostanze Paolo avvertì profeticamente che nella congregazione si sarebbero infiltrati degli apostati; successivamente lo fece pure Pietro (At 20:29, 30; 1Tm 4:1-3; 2Tm 4:3, 4; 2Pt 2:1-3).

un’altra sorta di buona notizia I “falsi fratelli” predicavano “una buona notizia diversa” da quella che i cristiani della Galazia avevano appreso (Gal 1:8; 2:4). Quella che Paolo aveva annunciato loro includeva “la buona notizia riguardo al Cristo” (Gal 1:7). Aveva a che fare con la libertà che Cristo offre: la libertà dalla schiavitù del peccato ereditato e dalla schiavitù della Legge mosaica (Gal 3:13; 5:1, 13 e approfondimento). Quella buona notizia non era “di origine umana” (Gal 1:8, 9, 11, 12; 2Co 11:4; vedi approfondimento a Gal 1:8).

false storie Le “false storie” (espressione che qui traduce il termine greco mỳthos) che circolavano ai giorni di Paolo erano irriverenti, o profane. Violavano le sacre norme di Dio ed erano contrarie ai santi e sani insegnamenti della verità (1Tm 6:20; 2Tm 1:13). Queste false storie erano frutto dell’immaginazione e non si basavano sulla realtà dei fatti, quindi erano prive di valore. (Vedi approfondimento a 1Tm 1:4.)

false storie In 2Tm 4:4 “false storie” e “verità” sono messe in contrapposizione. Il termine greco qui reso “false storie” è mỳthos, che secondo un lessico può essere definito “leggenda”, “favola”, “mito”. Nelle Scritture Greche Cristiane è sempre usato con un’accezione negativa. Paolo forse aveva in mente leggende stravaganti che promuovevano insegnamenti religiosi falsi o dicerie di natura sensazionale (Tit 1:14; 2Pt 1:16; vedi approfondimento a 1Tm 4:7). In questo versetto esorta i cristiani a non prestare attenzione, o non dedicare tempo, a tali false storie, perché non sarebbero state di nessuna utilità e avrebbero potuto distogliere la loro mente dalla verità contenuta nella Parola di Dio (2Tm 1:13).

genealogie Paolo forse fa riferimento a linee di discendenza o alberi genealogici delle singole famiglie. Avverte i cristiani di non farsi distrarre dallo studio e dalla discussione di questi argomenti. Probabilmente alcuni si dedicavano a cose del genere per un senso di orgoglio riguardo alla propria discendenza o per far mostra della conoscenza che avevano. Comunque concentrarsi su questo tipo di indagini non aggiungeva nulla di utile alla fede cristiana. I cristiani ebrei non avevano nessun valido motivo per tracciare la propria linea di discendenza, dato che nella congregazione Dio non faceva ormai alcuna distinzione fra ebrei e non ebrei (Gal 3:28). Ciò che veramente contava era che i cristiani riuscissero a tracciare la discendenza di Cristo attraverso la linea genealogica di Davide (Mt 1:1-17; Lu 3:23-38).

speculazioni Paolo parla di un pericolo che sorge quando si presta attenzione a false storie e a genealogie. (Vedi gli approfondimenti false storie e genealogie in questo versetto.) Usa un termine greco che un lessico definisce “inutile speculazione”. Un’altra opera di consultazione fa notare che questo termine ha a che fare con “domande a cui non è possibile rispondere, che non meritano risposta”. Paolo mette in contrasto tali speculazioni con “qualcosa che [viene] da Dio riguardo alla fede”. In questo versetto, quindi, non si riferisce a ragionamenti logici che si fondano su solide basi scritturali e che pertanto possono rafforzare la fede (At 19:8; 1Co 1:10); piuttosto mette in guardia contro domande inutili e risposte discutibili che invece di unire i discepoli di Cristo è più probabile che li dividano.

il fine O “la fine”. Il termine greco tèlos, generalmente reso “fine”, ha varie sfumature di significato. Può riferirsi alla conclusione di qualcosa in contrapposizione al suo principio (Mt 24:14; Mr 3:26; Ri 21:6). Questo significato sarebbe calzante qui, perché dopo la morte, risurrezione e ascensione al cielo di Gesù la Legge mosaica venne abolita, o giunse alla sua fine (Gv 1:17; Ro 6:14; Gal 5:18; Col 2:14, 16, 17). Comunque tèlos può significare “fine” anche nel senso di meta o obiettivo. (Confronta 1Tm 1:5, dove lo stesso termine greco è tradotto “obiettivo”.) Dato che Paolo parlò della Legge mosaica come di un ‘tutore per condurre a Cristo’, si può dire che Cristo è l’obiettivo o la meta a cui tendeva la Legge (Gal 3:24). Quindi in questo contesto tèlos sembra trasmettere entrambe le idee.

i puri di cuore Puri interiormente, cioè moralmente e spiritualmente; tale purezza coinvolge sentimenti, desideri e motivi.

coscienza Il termine greco synèidesis è formato da syn (“con”) ed èidesis (“conoscenza”), e si potrebbe tradurre “conoscenza di sé”. Qui Paolo spiega che persino gli esseri umani che non conoscono le leggi di Dio hanno una coscienza, cioè la capacità di osservare sé stessi e giudicare il proprio comportamento. Tuttavia, solo una coscienza educata secondo la Parola di Dio e sensibile alla Sua volontà può giudicare in modo corretto. Le Scritture fanno capire che non tutte le coscienze funzionano come si deve: una persona può avere una coscienza debole (1Co 8:12), marchiata (1Tm 4:2) o contaminata (Tit 1:15). Parlando del modo in cui agiva la sua coscienza, Paolo dice: “La mia coscienza me ne dà testimonianza nello spirito santo” (Ro 9:1). L’obiettivo di Paolo era quello di “mantenere una coscienza pura davanti a Dio e agli uomini” (At 24:16).

ipocriti In origine il termine hypokritès si riferiva agli attori del teatro greco (e in seguito romano) che indossavano grandi maschere realizzate in modo tale che la voce venisse amplificata. Questo termine finì per essere usato in senso metaforico in riferimento a chi, simulando, nascondeva le sue vere intenzioni e la sua personalità. Qui Gesù definisce “ipocriti” i capi religiosi ebrei (Mt 6:5, 16).

obiettivo O “meta”, “scopo”. (Vedi approfondimento a Ro 10:4.)

direttiva O “mandato”, “ordine”, “comando”. Il sostantivo greco, come spiega un lessico, trasmette l’idea di “qualcosa che deve essere fatto”. Paolo si sta riferendo a quello che poco prima ha detto a Timoteo, e cioè di “[comandare] a certi individui” nella congregazione “di non insegnare dottrine diverse e di non prestare attenzione a false storie” (1Tm 1:3, 4). Il termine originale e altri affini ricorrono diverse volte in questa lettera (1Tm 1:18; 4:11; 5:7; 6:13, 17).

l’amore che scaturisce da un cuore puro In questo versetto Paolo mette in relazione l’altruistico amore cristiano con “un cuore puro”, “una buona coscienza” e “una fede senza ipocrisia”. Il cristiano che ha un cuore puro, cioè che è puro interiormente, lo è dal punto di vista morale e spirituale. I suoi motivi sono puri ed è completamente dedicato a Geova (Mt 5:8 e approfondimento). La purezza del suo cuore lo spinge a mostrare vero amore nei rapporti che ha con gli altri.

l’amore che scaturisce [...] da una buona coscienza Dio ha dotato l’essere umano della coscienza, cioè la capacità di esaminare sé stesso e di giudicare i propri pensieri, i propri sentimenti e le proprie azioni. Gli esseri umani imperfetti hanno bisogno della Parola di Dio per educare la coscienza così che questa possa aiutarli a fare valutazioni corrette, che tengano conto delle norme divine. Il cristiano che ha una buona coscienza, ovvero una coscienza che è addestrata per essere in armonia con la volontà di Dio, non deve sentirsi in colpa per peccati commessi in passato, perché si è pentito, ha smesso di fare ciò che è sbagliato e ora si comporta nel modo giusto (1Pt 3:16, 21; vedi approfondimento a Ro 2:15). In questo versetto Paolo indica che una buona coscienza permette di manifestare amore altruistico.

l’amore che scaturisce [...] da una fede senza ipocrisia Paolo conosceva bene l’ipocrisia dei farisei e i risultati disastrosi del loro comportamento (At 26:4, 5; confronta Mt 23:13). Mise in guardia Timoteo contro l’insincerità e la doppiezza (1Tm 4:1, 2). I termini greci che trasmettono il significato di “ipocrisia” e “ipocrita” si riferivano in origine ad attori di teatro che avevano il volto coperto da una maschera, il che permetteva loro di interpretare più personaggi nel corso di uno spettacolo. (Vedi approfondimento a Mt 6:2.) Il termine greco qui reso “senza ipocrisia” può significare “senza simulazione”, “senza fingere come fa un attore”. Quindi Paolo in questo versetto mostra che avere una fede sincera e genuina permette ai cristiani di manifestare amore altruistico.

Pretendono di essere maestri della legge O “vogliono essere maestri della legge”. A quanto pare gli uomini di cui parla qui Paolo erano motivati dal desiderio egoistico di avere la preminenza e l’autorità che secondo alcuni derivavano dall’essere un insegnante nella congregazione. Quegli uomini ambiziosi non erano idonei a insegnare al gregge di Dio e a pascerlo né avevano ricevuto la nomina per farlo. Un fratello che invece era spinto dal desiderio altruistico di servire gli altri con l’insegnamento e che soddisfaceva i requisiti scritturali “[desiderava] un’opera eccellente” (1Tm 3:1).

la Legge è eccellente purché sia applicata in modo appropriato Ai giorni di Paolo, alcuni insegnavano che i cristiani dovessero attenersi scrupolosamente ai precetti della Legge mosaica, come se fossero ancora indispensabili per essere salvati. Paolo sapeva che quei maestri applicavano la Legge in modo inappropriato. I cristiani non sono tenuti a osservarla, ed esercitano fede nel sacrificio di Cristo per ottenere la salvezza (Gal 2:15, 16). La Legge mosaica è comunque utile per loro, a patto che ne applichino i princìpi “in modo appropriato” (lett. “legittimamente”). Vale la pena studiarla, dal momento che è “un’ombra delle benedizioni future” collegate a Cristo Gesù (Eb 10:1). Inoltre la Legge rende evidente il bisogno che l’umanità ha del sacrificio espiatorio di Gesù Cristo (Gal 3:19) e, soprattutto, rivela il modo di pensare di Geova (Eso 22:21; Le 19:15, 18; Ro 7:12).

la legge del Cristo Questa legge include tutto ciò che Gesù insegnò, ma anche quello che i suoi discepoli, guidati dallo spirito di Dio, scrissero nelle Scritture Greche Cristiane. Come aveva predetto Geremia, questa legge prese il posto del patto della Legge mosaica (Ger 31:31-34; Eb 8:6-13). Anche se si chiama “legge del Cristo”, non fu lui a ideare i princìpi e le leggi che la compongono; li ricevette infatti dal grande Legislatore, Geova (Gv 14:10). L’espressione “legge del Cristo” viene usata solo qui nelle Scritture Greche Cristiane, ma in 1Co 9:21 ne compare una simile, “legge davanti a Cristo”. A questa legge si riferiscono anche le espressioni “legge perfetta che appartiene alla libertà” (Gc 1:25), “legge di un popolo libero” (Gc 2:12) e “legge della fede” (Ro 3:27).

le leggi sono fatte non per chi è giusto Coloro che avevano accettato il cristianesimo erano giusti perché avevano fatto proprie le norme divine su ciò che è giusto e sbagliato. Di buon grado permettevano allo spirito di Dio di operare su di loro (Gal 5:16-23). Non avevano quindi bisogno di tante norme dettagliate, come quelle contenute nella Legge mosaica. Seguivano piuttosto “la legge del Cristo”, che è una legge superiore e si basa sull’amore (Gal 6:2 e approfondimento).

chi pratica l’immoralità sessuale O “chi commette immoralità sessuale”. Questa espressione traduce il sostantivo greco pòrnos, affine al sostantivo pornèia (“immoralità sessuale”, 1Co 5:1) e al verbo pornèuo (“praticare l’immoralità sessuale”, 1Co 6:18). (Vedi Glossario, “immoralità sessuale”.) Sin dai tempi antichi Corinto era nota per lo stile di vita dissoluto dei suoi abitanti e per il culto della dea Afrodite, culto che promuoveva depravazione e immoralità. (Confronta approfondimento a 1Co 7:2.) Più avanti Paolo fa capire che alcuni cristiani di Corinto avevano avuto una vita immorale, ma erano cambiati e ora erano buone compagnie (1Co 6:11).

immoralità sessuale Per come è usato nella Bibbia, il greco pornèia è un termine generico riferito a qualsiasi atto sessuale che è illecito secondo le norme di Dio. Un lessico definisce pornèia “prostituzione, licenziosità, fornicazione”, e aggiunge che viene usato per indicare “ogni specie di rapporto sessuale illecito”. Tali atti illeciti includono non solo prostituzione, adulterio e rapporti sessuali tra persone non sposate ma anche atti omosessuali e bestialità, tutte cose condannate nelle Scritture (Le 18:6, 22, 23; 20:15, 16; 1Co 6:9; vedi Glossario). Menzionandola insieme ad assassinio, furto e bestemmia, Gesù fece capire che l’immoralità sessuale è un atto malvagio (Mt 15:19, 20; Mr 7:21-23).

uomini che si sottopongono ad atti omosessuali [...] uomini che praticano l’omosessualità A fronte di queste espressioni, nel testo greco compaiono due termini diversi. Il primo termine (in greco malakòs) significa fondamentalmente “morbido” (confronta Lu 7:25, nt.), “molle”, “delicato”, ma in questo contesto sembra riferirsi a uomini che in una relazione omosessuale hanno un ruolo passivo, a uomini effeminati. Ecco perché qui è stata adottata la resa “uomini che si sottopongono ad atti omosessuali”. Altre traduzioni usano “effeminati”. Il secondo termine (in greco arsenokòites) significa alla lettera “uomini che giacciono con uomini” e compare anche in 1Tm 1:10. A quanto pare si riferisce a uomini che in una relazione omosessuale hanno un ruolo attivo. Ecco perché è stato reso “uomini che praticano l’omosessualità”, o in alternativa “uomini che hanno rapporti sessuali con uomini”. Menzionando nello specifico sia il ruolo passivo che quello attivo, Paolo fa capire chiaramente che Dio disapprova tutti gli atti omosessuali.

quelli che praticano l’immoralità sessuale Vedi approfondimenti a 1Co 5:9; Gal 5:19.

uomini che praticano l’omosessualità O “uomini che hanno rapporti sessuali con uomini”. Lett. “uomini che giacciono con uomini”. (Vedi approfondimento a 1Co 6:9.)

Felici Il termine greco qui usato (makàrios) non denota semplicemente la spensieratezza o lo stato d’animo di chi trascorre un momento piacevole. Quando è riferito agli uomini indica piuttosto la condizione di chi è benedetto da Dio e gode del suo favore. Il termine è usato anche per descrivere Dio e Gesù nella sua gloria celeste (1Tm 1:11; 6:15).

gloriosa buona notizia riguardo al Cristo La buona notizia può giustamente essere definita “gloriosa” a motivo del suo messaggio, messaggio che descrive i meravigliosi sviluppi del sacro segreto relativo al Cristo (Col 1:27), al ruolo di coloro che regneranno con lui (1Ts 2:12; Ri 1:6) e allo splendido futuro che Dio ha in serbo per tutti gli esseri umani (Ri 21:3, 4). La frase originale può anche essere resa “buona notizia riguardo alla gloria del Cristo”.

la gloriosa conoscenza di Dio Nell’uso biblico, i verbi originali resi “conoscere” e i corrispondenti sostantivi resi “conoscenza” indicano spesso qualcosa di più che il semplice possesso di nozioni o informazioni. Quando sono riferiti a una persona, contengono in sé anche l’idea di conoscerla bene, di riconoscerne il ruolo e di ubbidirle. (Vedi approfondimento a Gv 17:3.) Nel contesto di 2Co 4:6 la “conoscenza di Dio” è collegata alla luce spirituale che lui dà ai suoi servitori tramite Cristo. La conoscenza di Dio può essere definita “gloriosa” perché riguarda la sua gloriosa personalità e le sue gloriose qualità. L’espressione greca tradotta “la gloriosa conoscenza di Dio” può anche essere resa “la conoscenza della gloria di Dio”, a sottolineare che questa conoscenza si incentra sulla gloria di Dio. Un’espressione simile ricorre in Aba 2:14, dove si legge: “La terra sarà piena della conoscenza della gloria di Geova”.

parole del Signore Gesù L’affermazione che segue è menzionata solo dall’apostolo Paolo, anche se il senso che trasmette si ritrova nei Vangeli e nel resto delle Scritture ispirate (Sl 41:1; Pr 11:25; 19:17; Mt 10:8; Lu 6:38). A Paolo potrebbe essere stata riferita oralmente: per bocca di qualcuno che a sua volta l’aveva sentita pronunciare da Gesù, per bocca dello stesso Gesù risorto oppure per rivelazione divina (At 22:6-15; 1Co 15:6, 8).

Felici Il termine greco qui usato (makàrios) ricorre 50 volte nelle Scritture Greche Cristiane. Paolo sta descrivendo la “felicità dell’uomo che Dio considera giusto indipendentemente dalle opere” (Ro 4:6). Makàrios è anche usato per descrivere Dio (1Tm 1:11) e Gesù nella sua gloria celeste (1Tm 6:15). Inoltre è usato nelle famose dichiarazioni sulla felicità all’interno del Discorso della Montagna (Mt 5:3-11; Lu 6:20-22). Qui in Ro 4:7, 8 Paolo si rifà a Sl 32:1, 2. Questo tipo di massime o dichiarazioni introdotte dall’aggettivo “felice” o “felici” sono comuni nelle Scritture Ebraiche (De 33:29; 1Re 10:8; Gb 5:17; Sl 1:1; 2:12; 33:12; 94:12; 128:1; 144:15; Da 12:12). I termini originali ebraici e greci non denotano semplicemente la spensieratezza o lo stato d’animo di chi trascorre un momento piacevole. Da un punto di vista scritturale, per essere veramente felice una persona deve coltivare amore per Dio, servirlo fedelmente e godere del suo favore e della sua benedizione.

gloriosa buona notizia La buona notizia può giustamente essere definita “gloriosa” a motivo del suo straordinario messaggio. Per esempio fa conoscere la gloriosa personalità e le gloriose qualità di Geova Dio, la Fonte di questo messaggio meraviglioso. Grazie a questa buona notizia, il “felice Dio” ha dato all’umanità la gloriosa speranza di essere salvata attraverso Gesù Cristo. Non sorprende quindi che Paolo si sentisse onorato di aver ricevuto l’incarico di predicarla. (Vedi approfondimenti a 2Co 4:4, 6.)

felice Dio Qui Paolo indica che la felicità è una caratteristica peculiare della personalità di Geova. Dio è sempre esistito e continuerà a esistere per tutta l’eternità; è sempre stato felice, anche quando era da solo (Mal 3:6). Il legame con il suo Figlio primogenito gli fece provare ancora più felicità (Pr 8:30). Anche se la ribellione e la calunnia di Satana gli hanno procurato dolore e sofferenza, Geova continua a essere felice e si rallegra della fedeltà dei suoi servitori leali (Pr 27:11). Quando incontrò gli anziani di Efeso, Paolo citò le parole di Gesù: “C’è più felicità nel dare che nel ricevere” (At 20:35 e approfondimento). Da queste parole si evince una ragione per cui Geova è il “felice Dio”: nessuno nell’universo è più generoso di lui (Sl 145:16; Isa 42:5). Se lo imitano, anche i suoi servitori possono essere felici (Ef 5:1). In Sl 1:1, 2, chi legge quotidianamente la sua legge è definito “felice”. Nella Settanta, in questo passo, compare lo stesso termine greco usato qui da Paolo. Nel Discorso della Montagna più volte Gesù indica che i suoi discepoli possono essere felici, anche se affrontano difficoltà e persecuzione (Mt 5:3-11; vedi approfondimenti a Mt 5:3; Ro 4:7).

il mio ministero Quando era sulla terra, Gesù incaricò i suoi seguaci di fare discepoli di persone di tutte le nazioni (Mt 28:19, 20). Paolo chiama quell’opera “il ministero della riconciliazione”. Come lui stesso spiega, infatti, i cristiani implorano il mondo lontano da Dio di riconciliarsi con Lui (2Co 5:18-20). Nel suo ministero cristiano, Paolo ebbe i risultati maggiori tra le nazioni; al tempo stesso, però, aveva il forte desiderio che anche alcuni ebrei facessero i passi necessari per essere salvati (Ro 11:14). Il significato basilare del sostantivo greco diakonìa, qui reso “ministero”, è “servizio”, e il verbo affine è usato alcune volte nella Bibbia in riferimento a contesti meno ufficiali, come il servire a tavola (Lu 4:39; 17:8; Gv 2:5). Qui si riferisce al ministero cristiano: un’elevata forma di servizio che consiste nel provvedere ai bisogni spirituali di altri.

Sono grato a Cristo Gesù Nel suo incarico “di svolgere un ministero”, Paolo vedeva la prova della misericordia, dell’amore e della fiducia di Gesù Cristo nei suoi confronti. In precedenza era stato “un persecutore e un insolente”, e aveva addirittura approvato l’assassinio di Stefano (1Tm 1:13; At 6:8; 7:58; 8:1, 3; 9:1, 2). Per dimostrare la propria gratitudine serviva con entusiasmo gli altri soddisfacendo i loro bisogni spirituali. È con questo stesso atteggiamento, per esempio, che predicò la buona notizia. (Vedi approfondimento a Ro 11:13.)

immeritata bontà di Dio Visto che in passato aveva opposto resistenza a Gesù e ai suoi discepoli (At 9:3-5), Paolo aveva ogni motivo per sottolineare l’immeritata bontà di Geova. (Vedi Glossario, “immeritata bontà”.) Paolo comprese che era solo grazie all’immeritata bontà di Dio che poteva svolgere il suo ministero (1Co 15:10; 1Tm 1:13, 14). Quando si incontrò con gli anziani di Efeso, accennò a questa qualità due volte (At 20:24, 32). Nelle sue 14 lettere, Paolo menzionò l’“immeritata bontà” una novantina di volte, molto più di qualunque altro scrittore della Bibbia. Ad esempio, fece riferimento all’immeritata bontà di Dio o di Gesù nell’introduzione di tutte le sue lettere, tranne quella agli Ebrei, e nella conclusione di ogni lettera.

l’immeritata bontà del nostro Signore Paolo era perfettamente consapevole degli errori che aveva commesso quando aveva perseguitato i cristiani. Qui però preferisce concentrarsi su quello che di positivo era successo dopo: nonostante il suo passato, era stato oggetto dell’immeritata bontà di Geova. (Vedi approfondimenti ad At 13:43; 1Co 15:10; Gal 2:20.) Per mettere in evidenza questo punto, Paolo dice che nel suo caso la bontà di Geova ha abbondato oltremodo. Usa un verbo greco che può descrivere un contenitore così pieno da essere stracolmo, da traboccare. Un lessico dice che questo verbo significa “abbondare oltremisura”.

mi ha amato e ha dato sé stesso per me Utilizzando i pronomi “mi” e “me”, qui Paolo sottolinea che il dono che Cristo ha fatto è un dono individuale, indirizzato a chiunque decida di esercitare fede in lui. (Vedi approfondimento a Gv 3:16.) Paolo aveva compreso e accettato il grande amore che Gesù gli aveva mostrato a livello personale, e questo a sua volta lo spingeva ad amare gli altri e a essere affettuoso e generoso. (Vedi approfondimento a 2Co 5:14; confronta 2Co 6:11-13; 12:15.) Paolo era grato del fatto che Gesù lo avesse scelto come suo discepolo, sebbene in precedenza fosse stato un oppositore. Aveva capito che Gesù, spinto dall’amore, aveva dato la vita non solo per i giusti, ma anche per quelli che erano schiacciati dal peccato. (Confronta Mt 9:12, 13.) Pur mettendo in evidenza che il riscatto di Cristo si applicava a livello individuale a lui, Paolo sapeva benissimo che avrebbe influito positivamente anche su un numero incalcolabile di persone.

grazie all’immeritata bontà di Dio sono quello che sono Qui Paolo riconosce umilmente che non può attribuirsi il merito dei risultati che ha ottenuto nel servire Geova. Mette in risalto questo punto menzionando tre volte in questo versetto l’“immeritata bontà” di Dio. (Vedi Glossario, “immeritata bontà”.) L’enfasi che Paolo dà all’immeritata bontà permette di leggere nella giusta chiave la sua affermazione: ho faticato più di tutti loro (cioè più degli altri apostoli). Paolo era grato che Dio nella sua misericordia avesse scelto lui, un ex persecutore dei cristiani, perché diventasse un apostolo (1Tm 1:12-16). E dimostrò questa gratitudine faticando strenuamente per svolgere il suo incarico. Coprì lunghe distanze per mare e per terra diffondendo la buona notizia e fondando numerose congregazioni. Il suo ministero comportò scrivere 14 lettere ispirate che diventarono parte delle Scritture Greche Cristiane. Geova inoltre lo benedisse dandogli il dono di parlare in altre lingue, facendogli avere delle visioni e concedendogli la capacità di compiere altri miracoli, inclusa una risurrezione (At 20:7-10; 1Co 14:18; 2Co 12:1-5). Paolo considerava il suo servizio e tutte queste benedizioni un’espressione dell’immeritata bontà di Geova.

Di questi io sono il principale Quello che Paolo dice qui a proposito dei peccatori lascia trasparire sia la profondità della sua umiltà che la forza della sua speranza. Umilmente rifiuta di sminuire la sua precedente condotta peccaminosa, quando aveva perseguitato i cristiani. Nonostante i suoi grandi peccati, comunque, la sua speranza è granitica perché sa bene che “Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori”. (Confronta Mt 9:13.)

facendo di me un esempio Qui il versetto sposta l’attenzione dai benefìci che Paolo ha avuto grazie alla misericordia di Cristo al modo in cui altri possono avvalersi dell’esempio dello stesso Paolo. I cristiani che vengono a conoscenza della misericordia che Dio gli ha mostrato si convincono che il perdono dei peccati è possibile. Essendo “il principale peccatore”, Paolo diventò la prova vivente del fatto che la misericordia di Dio mostrata attraverso Cristo può coprire anche peccati gravi, se il peccatore è sinceramente pentito.

il proposito eterno In questo contesto il termine “proposito” si riferisce a uno specifico obiettivo, o fine, che si può raggiungere in più di un modo. Indica la volontà di Geova di portare a compimento ciò che si era prefisso in origine per l’umanità e per la terra nonostante la ribellione in Eden (Gen 1:28). Subito dopo la ribellione, Geova stabilì questo proposito che riguarda il Cristo, Gesù nostro Signore. Predisse la comparsa di una “discendenza” che avrebbe cancellato i danni causati dai ribelli (Gen 3:15; Eb 2:14-17; 1Gv 3:8). Si tratta di un “proposito eterno” (lett. “proposito delle epoche”) per almeno due motivi: (1) Geova, definito “Re d’eternità” (lett. “Re delle epoche”) in 1Tm 1:17, ha deciso di far passare intere epoche prima della sua completa realizzazione; (2) gli effetti derivanti dal suo adempimento dureranno per tutta l’eternità. (Vedi approfondimento a Ro 8:28.)

Amen O “così sia”, “di sicuro”. Il greco amèn è la traslitterazione di un termine ebraico che deriva da ʼamàn, radice ebraica che vuol dire “essere fedele”, “essere degno di fiducia”. (Vedi Glossario.) Si usava dire “amen” per indicare che si era d’accordo con un giuramento, una preghiera o una dichiarazione. Gli scrittori delle Scritture Greche Cristiane spesso usavano questo termine per confermare un’espressione di lode a Dio appena pronunciata, come fa in questo caso Paolo (Ro 16:27; Ef 3:21; 1Pt 4:11). In altri casi, quando lo scrittore esprimeva il desiderio che Dio mostrasse favore ai destinatari della lettera, ricorreva a questo termine per sottolineare quanto detto (Ro 15:33; Eb 13:20, 21). Lo si usava anche per avvalorare con enfasi una dichiarazione appena fatta (Ri 1:7; 22:20).

Re d’eternità Lett. “Re delle epoche”. Questo titolo si applica esclusivamente a Geova Dio, che viene anche chiamato “l’Antico di Giorni” (Da 7:9, 13, 22). Lui esiste da sempre, da prima che chiunque o qualunque altra cosa nell’universo venisse all’esistenza, e continuerà a esistere per sempre, in eterno (Sl 90:2). Geova è quindi l’unico che può avere un “proposito eterno” e adempierlo (Ef 3:11 e approfondimento). È anche l’unico che può concedere la “vita eterna” (Gv 17:3; Tit 1:2). Il titolo “Re d’eternità” compare anche in Ri 15:3, in quello che è chiamato “il canto di Mosè, lo schiavo di Dio, e il canto dell’Agnello”. Infatti in Esodo si legge che Mosè e gli israeliti cantarono: “Geova regnerà per sempre, per l’eternità” (Eso 15:18; Sl 10:16; 29:10; 146:10).

Amen Vedi approfondimento a Ro 1:25.

direttiva O “mandato”, “ordine”, “comando”. Il sostantivo greco, come spiega un lessico, trasmette l’idea di “qualcosa che deve essere fatto”. Paolo si sta riferendo a quello che poco prima ha detto a Timoteo, e cioè di “[comandare] a certi individui” nella congregazione “di non insegnare dottrine diverse e di non prestare attenzione a false storie” (1Tm 1:3, 4). Il termine originale e altri affini ricorrono diverse volte in questa lettera (1Tm 1:18; 4:11; 5:7; 6:13, 17).

figlio Qui il termine è usato da Gesù per esprimere affetto (2Tm 1:2; Tit 1:4; Flm 10).

genuino figlio Definendo Timoteo in questo modo, Paolo esprime il tenero affetto paterno che lo lega a lui. Le Scritture non dicono se sia stato lui a far conoscere la buona notizia a Timoteo e alla sua famiglia. Quello che dicono, però, è che, quando era relativamente giovane, Timoteo iniziò ad accompagnarlo nei suoi viaggi (At 16:1-4). Perciò, quando Paolo scrisse questa lettera, lo considerava suo figlio nella fede, cioè un figlio spirituale. (Confronta Tit 1:4.) Il loro legame speciale si era consolidato nel corso del tempo, da 10 anni o più (1Co 4:17; Flp 2:20-22).

mediante una profezia Questa espressione può riferirsi a una delle profezie che erano state fatte sul conto di Timoteo quando Paolo aveva visitato Listra durante il suo secondo viaggio missionario. A quanto pare queste profezie avevano a che fare con il futuro ruolo di Timoteo all’interno della congregazione. (Vedi approfondimento a 1Tm 1:18.) In questo modo fu evidente che era lo spirito di Geova a indicare cosa avrebbe dovuto fare Timoteo nel suo ministero. Di conseguenza, gli anziani di Listra accettarono volentieri che Timoteo intraprendesse il servizio speciale e partisse con Paolo (At 16:1-5).

non combattiamo Lett. “non prestiamo servizio militare”. Come fa qui nel brano di 2Co 10:3-6, Paolo ricorre spesso a termini di natura militare per descrivere la guerra spirituale che lui e i suoi compagni di fede dovevano combattere per proteggere la congregazione da insegnamenti e ragionamenti falsi e distruttivi (1Co 9:7; Ef 6:11-18; 2Tm 2:4; vedi approfondimenti a 2Co 10:4, 5).

direttiva O “mandato”, “ordine”, “comando”. (Vedi approfondimento a 1Tm 1:5.)

figlio mio Paolo usa il termine “figlio” per esprimere affetto (2Tm 1:2; Tit 1:4; Flm 10; vedi approfondimenti a Mt 9:2; 1Tm 1:2).

in armonia con le profezie che furono fatte riguardo a te Paolo ricorda a Timoteo le profezie che erano state fatte sul suo conto e a quanto pare sul suo futuro ruolo all’interno della congregazione. Queste profezie furono pronunciate per opera dello spirito di Dio. (Vedi approfondimento a 1Tm 4:14.) Paolo dice che sulla base di quelle, cioè sulla base delle profezie, Timoteo poteva combattere la guerra spirituale contro i falsi maestri. È perciò probabile che quelle profezie su Timoteo includessero l’autorizzazione a svolgere il suo incarico.

combattere l’eccellente guerra Proprio come fa in 2Co 10:3, anche qui Paolo usa la metafora della guerra per illustrare l’incessante lotta sostenuta per difendere la congregazione dalle influenze nocive. Il ruolo di Timoteo era di proteggere la congregazione da coloro che cercavano di infiltrarsi al suo interno e di corromperla con false dottrine (1Tm 1:3, 4; vedi approfondimento a 2Co 10:3).

tre volte ho fatto naufragio Dei naufragi subiti da Paolo la Bibbia ne descrive in modo vivido uno, che però si verificò dopo la stesura di questa lettera (At 27:27-44). Paolo viaggiava molto spesso via mare (At 13:4, 13; 14:25, 26; 16:11; 17:14, 15; 18:18-22, 27), quindi sono molte le occasioni in cui gli può essere capitata una cosa del genere. Quando scrive ho trascorso un giorno e una notte in balìa del mare (lett. “nel profondo”), forse si riferisce alle conseguenze di uno di quei naufragi. È possibile che, sballottato dal mare in tempesta, sia rimasto aggrappato a uno dei resti della nave per una notte e un giorno interi prima di essere salvato o sospinto a riva. Comunque, nonostante queste vicissitudini estreme, Paolo non smise mai di viaggiare per mare.

facendo così naufragare la loro fede Per spiegare quanto sia pericoloso rinunciare intenzionalmente alla fede e a una buona coscienza, Paolo si serve di un’immagine molto chiara: il cristiano può perdere la fede nello stesso modo in cui un’imbarcazione può fare naufragio. In una precedente lettera l’apostolo aveva detto di essere sopravvissuto a tre naufragi letterali (2Co 11:25 e approfondimento), e quando scrisse questa prima lettera a Timoteo era sopravvissuto almeno a un altro (At 27:27-44). Perciò sapeva per esperienza personale quanto i naufragi potessero essere pericolosi. A ragione, quindi, fa capire che chi respinge deliberatamente la propria fede potrebbe non riprendersi mai. I naufragi, comunque, non sempre erano fatali. In modo simile, anche chi perde rovinosamente la fede non è senza speranza; può infatti ristabilirsi, a condizione che si avvalga dell’aiuto spirituale disponibile (Gal 6:1; Gc 5:14, 15, 19, 20).

dicendo che la risurrezione è già avvenuta A quanto pare a Efeso certi falsi maestri, tra cui Imeneo e Fileto, insegnavano che i cristiani dedicati fossero già stati risuscitati in senso figurato. Alcuni di loro, per promuovere tali ragionamenti errati, potrebbero aver addirittura distorto le parole di Paolo. È vero che Paolo insegnava che quando un peccatore viene battezzato muore rispetto al suo precedente stile di vita e, in senso metaforico, torna a vivere. Ma questa risurrezione simbolica non sostituiva la speranza riportata nella Bibbia di una risurrezione letterale dei morti. Coloro che insegnavano che la risurrezione fosse “già avvenuta”, negando quindi la speranza di una futura risurrezione letterale, erano apostati (Ro 6:2-4, 11; Ef 5:14; vedi approfondimento a Ef 2:1).

Alessandro, il ramaio Paolo mette in guardia Timoteo contro un certo Alessandro che si era opposto “in maniera estrema” al messaggio che Paolo e i suoi compagni d’opera proclamavano (2Tm 4:15). Definendo Alessandro “ramaio”, l’apostolo usa un termine greco che nel I secolo poteva indicare una persona che lavorava qualsiasi tipo di metallo. È probabile che sia lo stesso Alessandro menzionato in 1Tm 1:20, che a quanto pare era stato espulso dalla congregazione. (Vedi approfondimenti.) Qui Paolo non specifica quali danni quest’uomo gli avesse procurato. Alcuni ritengono che Alessandro potrebbe aver avuto una parte nell’arresto di Paolo e possa addirittura aver testimoniato contro di lui dicendo cose false.

dovrete consegnare quell’uomo a Satana Questo comando equivaleva all’espulsione dalla congregazione, o disassociazione, di quell’uomo (1Co 5:13; 1Tm 1:20), che così diventava parte del mondo di cui Satana è dio e governante (1Gv 5:19). La conseguenza della sua espulsione era la distruzione della carne, cioè l’eliminazione dalla congregazione di ciò che la corrompeva. In questo modo lo spirito positivo della congregazione, o il suo atteggiamento prevalente, sarebbe stato preservato (2Tm 4:22).

facendo così naufragare la loro fede Per spiegare quanto sia pericoloso rinunciare intenzionalmente alla fede e a una buona coscienza, Paolo si serve di un’immagine molto chiara: il cristiano può perdere la fede nello stesso modo in cui un’imbarcazione può fare naufragio. In una precedente lettera l’apostolo aveva detto di essere sopravvissuto a tre naufragi letterali (2Co 11:25 e approfondimento), e quando scrisse questa prima lettera a Timoteo era sopravvissuto almeno a un altro (At 27:27-44). Perciò sapeva per esperienza personale quanto i naufragi potessero essere pericolosi. A ragione, quindi, fa capire che chi respinge deliberatamente la propria fede potrebbe non riprendersi mai. I naufragi, comunque, non sempre erano fatali. In modo simile, anche chi perde rovinosamente la fede non è senza speranza; può infatti ristabilirsi, a condizione che si avvalga dell’aiuto spirituale disponibile (Gal 6:1; Gc 5:14, 15, 19, 20).

bestemmia Espressione diffamatoria, ingiuriosa e offensiva contro Dio e le cose sacre. Dato che lo spirito santo viene da Dio, opporsi volontariamente allo spirito o negare il suo operato equivale a bestemmiare contro Dio stesso. Come mostra Mt 12:24, 28, i capi religiosi ebrei videro lo spirito di Dio all’opera quando Gesù compiva i miracoli, ma attribuirono questo potere a Satana il Diavolo.

linguaggio offensivo Qui Paolo usa un termine greco (blasfemìa) che viene spesso tradotto “bestemmia” quando indica una parola o frase irriverente verso Dio (Ri 13:6). In origine comunque il senso non era ristretto a quello di ingiurie rivolte a Dio. Il termine poteva anche riferirsi a espressioni cattive o diffamatorie contro esseri umani, e il contesto mostra che è proprio questo il senso con cui lo usa Paolo. (Vedi anche Ef 4:31.) Altre traduzioni usano rese come “calunnia”, “maldicenza” e “insulti”. Commentando questa parola, un’opera di consultazione dice: “Descrive il tentativo di sminuire qualcuno e farlo cadere in discredito o rovinargli la reputazione”.

Imeneo e Alessandro Questi uomini “[avevano fatto] naufragare la loro fede” (1Tm 1:19) e a quanto pare promuovevano false dottrine. In 2Tm 2:16-18, per esempio, Paolo scrisse che Imeneo e Fileto asserivano che la risurrezione fosse già avvenuta e “[sovvertivano] la fede di alcuni”. (Vedi approfondimenti a 2Tm 2:18.) Alessandro forse era il ramaio menzionato in 2Tm 4:14, 15 che “[aveva] arrecato molti danni” a Paolo e che si era opposto “in maniera estrema” al messaggio che lui e i suoi compagni d’opera proclamavano. (Vedi approfondimento a 2Tm 4:14.) L’espressione tra questi ci sono lascia intendere che fossero già diversi quelli che avevano rinnegato la fede e che stavano esercitando un’influenza negativa su alcuni nella congregazione.

che io ho consegnato a Satana A quanto pare questa espressione si riferisce all’espulsione, o disassociazione, di Imeneo e Alessandro dalla congregazione. Il provvedimento si era reso necessario perché questi uomini avevano deliberatamente intrapreso una condotta peccaminosa senza pentirsi. (Vedi approfondimento a 1Co 5:5.)

dalla disciplina imparino Con queste parole Paolo spiega uno degli obiettivi per cui un peccatore che non si pente viene “consegnato a Satana”, o espulso dalla congregazione. (Vedi l’approfondimento che io ho consegnato a Satana in questo versetto.) Imeneo e Alessandro “[avevano fatto] naufragare la loro fede”, ed era stato necessario disassociarli perché potessero imparare “a non bestemmiare”. (Vedi approfondimento a 1Tm 1:19.) Quello che qui Paolo ha in mente, perciò, non è solo una forma di punizione, ma anche di insegnamento; la speranza è quindi, come indica un’opera di consultazione, “che imparino la lezione”.

bestemmiare O “parlare ingiuriosamente”. (Vedi approfondimenti a Mt 12:31; Col 3:8.)

sovvertono la fede Circa 10 anni prima, Paolo aveva già combattuto contro falsi insegnamenti che minavano la speranza della risurrezione (1Co 15:2 e approfondimento, 12; confronta At 17:32). Quelli che negavano che in futuro ci sarebbe stata una risurrezione alla vita perfetta, in cielo o sulla terra, contraddicevano in modo esplicito le Scritture ispirate (Da 12:13; Lu 23:43; 1Co 15:16-20, 42-44). Se avessero permesso che la loro fede venisse sovvertita da insegnamenti errati riguardo alla risurrezione, i cristiani avrebbero perso la speranza di ricevere in futuro la ricompensa promessa (Gv 5:28, 29).

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Introduzione video al libro di 1 Timoteo
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